Nemmeno una mezza parola sul sospetto, non del tutto infondato e che emerge anche dal post di Valerio, che in realtà il fotoreporter di guerra al fondo sia sempre stato un avventuriero utile a gli editori e per questo santificato. Se non sbaglio a Rocchelli era stato detto chiaro e tondo che attraversare quella zona sarebbe stata morte sicura. Ma come si sa l'adrenalina inebria. Io non posso immaginare che un giornalista o un fotografo rischi la pelle per dovere verso la società. Se lo fa è perché la guerra rappresenta per lui un posto dove sentirsi a suo agio come Niki Lauda sicuramente si sentiva a suo agio su una Ferrari. Poi succede che per qualche ragione si prende una curva male e ci si schianta. Ma almeno non si dice di farlo per il bene dell'umanità. Niki Lauda lo approvo Rocchelli no. Aggiungo: qui si tenta di demittizare la fotografia e tante volte a ragione. Tuttavia il mito del fotoreporter di guerra appare incrollabile.
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